Qualche giorno fa abbiamo commentato il caso di un uomo non condannato per aver scattato delle foto alle dipendenti mentre queste si trovavano in bagno.
Alla luce di quanto già visto, ne emerge che se l’azione, pur svolgendosi in luoghi privati, può essere liberamente osservata dagli estranei senza che questi ricorrano a particolari accorgimenti, non si configura una lesione della riservatezza del titolare del domicilio.
Per i giudici della Suprema Corte, essendo pacifico che i locali dell’imputato e della persona offesa erano frontistanti, e che la donna non aveva tende alle finestre e che l’imputato non ha usato alcun accorgimento per poter prendere delle foto della persona offesa, si deve escludere la responsabilità dell’uomo.
Nella fattispecie in esame, ricordano gli Ermellini, non sono infatti stati ripresi dei comportamenti della vita privata che siano stati sottratti alla normale osservazione dall’esterno. La tutela del domicilio, aggiungono ancora i giudici della Suprema Corte, è infatti limitata a ciò che viene compiuto nei luoghi di privata dimora in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile a terzi.
La privata dimora
Si noti poi che qualificazione come luogo di privata dimora, ovvero come luogo nel quale si esplicano atti della vita privata, come il cambio di indumenti che sono legati allo svolgimento dell’attività lavorativa, è altresì ampliato al locale che nella fattispecie in esame era stato utilizzato dalle dipendenti per cambiarsi d’abito. Tale locale risponderebbe infatti alla funzione della norma incriminatrice, ovvero quella di proteggere la riservatezza di atti relativi alla sfera personale, e destinati a essere compiuti nella abitazione. O, comunque, attraverso modalità tali da evitare ingerenze o intrusioni di terzi.
“La circostanza che la destinazione del locale utilizzato per il cambio di indumenti non fosse esclusiva, venendo utilizzato anche come magazzino o deposito, non esclude che esso, nel momento in cui veniva utilizzato dalle dipendenti dell’imputato (con il suo consenso, non essendo stato dedotto che ciò avvenisse contro la sua volontà o a sua insaputa) per tale atto, fosse destinato alla esplicazione di atti della vita privata in assenza di intrusioni, con la conseguente correttezza della affermazione della illiceità della condotta dell’imputato” – segnalano tra le motivazioni i giudici.
In conclusione, a rilevare è la nota destinazione di un determinato luogo, come il magazzino del caso di cui si parla, alla regolare esplicazione degli atti della vita privata. Non rileva invece il fatto che il magazzino possa essere destinato anche allo svolgimento di altre funzioni, essendo invece sufficiente che possa essere in grado di svolgere le funzioni di cui si è detto nel corso delle precedenti righe.
Per i motivi di cui sopra non viene configurato, nella fattispecie in esame, il reato di interferenza nella vita privata.